Via Crucis
Il programma iconografico della Via Crucis, che è rimasto pressoché invariato nei secoli, ha subito negli ultimi decenni mutazioni interessanti, sia sul piano linguistico che su quello devozionale. Da quest’ultimo punto di vista molto ha influito la recente ricerca teologica, fortemente impegnata a ricondurre la lettura delle stazioni a un tema centrale, spesso finalizzato anche ad una rilettura del tempo presente. Così il Card. Joseph Ratzinger il venerdì santo del 2005 al Colosseo, ha voluto porre, tanto all’inizio, nella preghiera iniziale, che all’ultima stazione, le parole di Gesù alla Domenica delle Palme “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24). Il Cardinale, riflettendo sull’analogia fra il percorso terreno di Cristo e quello del chicco di grano, che soltanto attraverso la morte arriva a produrre frutto, voleva orientare i fedeli e la loro stessa preghiera sia verso il senso eucaristico, che verso un nuovo e impegnativo programma di vita terrena, caratterizzato dalla necessità di perdere noi stessi, a favore dell’amore vero. Sul piano strettamente linguistico la ricerca iconografica della Via Crucis ha dovuto fronteggiare la complessità del dissidio mai risolto fra astratto e figurativo, così come è dato vedere nelle tre diverse proposte artistiche di Lucio Fontana, ma anche in quelle recentissime di chi, come Bill Viola, Mark Wallinger o lo stesso Raul Gabriel, sono ricorsi alle tecniche video, con esiti molto distanti fra loro, ma non privi di pregnanza simbolica, pur non sottraendosi ad evidenti criticità. Difficile, ma non fuori luogo, condurre l’analisi critica fra opere e intenzioni tanto diverse fra loro, se si desidera collocare in un contesto preciso la ricerca di Raffaella Surian, così come è stata recentemente proposta al Museo Diocesano di Milano, dove l’artista, dopo anni di silenziosa assenza, propone, alla fine del 2013, una sua straordinaria via crucis. La sua ipotesi di partenza muove dalla considerazione che la via dolorosa non traccia un percorso isolabile dal contesto della sua quotidiana esperienza, ma anzi ad esso si intreccia, fino a denunciare un’esigenza spaziale, e dunque scultorea, del tutto nuova per l’artista. E se nei suoi lavori precedenti si avvertiva il ritmo del senso religioso della vita, qui si ravvisa una radicalità che denuncia scelte coraggiose, di natura ormai dichiaratamente figurativa, del tutto estranea ai codici dell’astrazione.
Lo stesso rapporto con l’opera, da cui si era mantenuta sempre in un certo modo distante, lasciando che fosse la mente a sovrintendere alla composizione, appare mutato in questa Via Crucis, concepita come un magma in cui immergersi coraggiosamente, fino a raggiungere uno sviluppo narrativo incalzante e appassionato, quasi avvertendo il bisogno di calarsi nel dolore di Cristo e farlo suo, interpretandolo di volto in volto, toccandolo con le mani, mentre accartoccia la carta perché prenda forma e divenga scultura.
Così nascono queste stazioni, immagini di una realtà che è nel cuore e nella memoria prima che nella carta. Del resto l’immagine ha sempre a che fare con la memoria -in questo senso la sua componente mentale- che vale a ricollegare la fase giovanile dell’arte di Raffaella Surian con questa più matura. Vedere è anche sapere e conoscere. Qui è dato comprendere la dimensione sacrale di queste immagini dolorose, che non attingono la loro verità dall’immaginazione, ma dalla contemplazione di un dolore vissuto e accolto nel suo significato più profondo e religioso.
Way of the Cross Sidenotes
by Paolo Biscottini
Museo Diocesano of Milan
11 October 10 November 2013
The iconographical tradition of the Way of the Cross, which has remained substantially unchanged for centuries, has undergone interesting linguistic and devotional changes in recent decades. The devotional changes have been influenced by recent theological research that is strongly committed to redirecting the meaning of the stations to a main theme, often aimed at a re-interpretation of the present day. In this way, at the Colosseum on Good Friday 2005, Cardinal Joseph Ratzinger wanted to present immediately in his opening prayer the words of Jesus on Palm Sunday which are spoken at the last station, “Unless a grain of wheat falls to the earth and dies, it remains just a single grain; but if it dies, it bears much fruit” (John 12:24). The Cardinal, reflecting on the analogy between the earthly journey of Christ and that of a grain of wheat in that only through death can one produce fruit, wanted to direct the faithful and their own prayers towards the meaning of the Eucharist. He wanted to help shift our gaze towards a new and demanding purpose of earthly life, characterized by the need to lose ourselves in order to truly love.
In a strictly linguistical sense, the iconographic research on the Way of the Cross has had to cope with the complexity of the unresolved conflict between the abstract and figurative. This can be seen in the three different artistic interpretations of Lucio Fontana, but also in the most recent works of Bill Viola, Mark Wallinger and Raul Gabriel, who have all resorted to video techniques with very differing results. Each, however, having a strong symbolic meaning, even if they received criticism.
It is difficult, but not irrelevant, to carry out a critical analysis between those differing works and their intentions. Within this context, we can place Raffaella Surian's research, which has recently been displayed at the Museo Diocesano of Milan. At the end of 2013, after years of silent absense, the artist revealed her own extraordinary Way of the Cross. Her primary hypothesis is motivated by the fact that the Way of the Cross doesn’t trace a path isolated from the context of her everyday experience, but rather is intertwined up to the point of denouncing the need for space, and therefore becoming sculptural. If the rhythm of the religious sense of life was felt in her previous works, in this work, a new radicalness appears. It denounces courageous choices, overtly figurative by nature, and quite foreign to the codes of abstraction. The same relationship with the work, in which a certain distance was always kept, appears transformed in this Way of the Cross, leaving be that for years, it was just the mind overseeing the composition. Here we see a work emerging courageously, like lava, until it reaches a relentless and passionate narrative development. It is as if the artist needed to take on the suffering of Christ and make it her own, interpreting it face to face, touching it with her hands, the crumpled paper taking shape and becoming almost like a sculpture.
It is in this way that these stations were born. They are images of a reality that was first in the heart and mind before it was put on paper. Moreover, the image always relates back to the memory- in this sense her mental component- which connects the early art of Raffaella Surian with her current, more mature works. Seeing is knowing and understanding. Here we begin to understand the sacred dimention of these painful images. They don’t derive their truth from the imagination, but from the contemplation of a lived painful experience that has been embraced in its profound and religious meaning.